Stradario di Lesina Marina e Ripalta
A cura di Francesco Giornetta - Anno 2000
Anche se spesso viene annoverata tra i laghi d'Italia, quella di Lesina è senza ombra di dubbio una laguna. Attualmente le vie di comunicazione con il mare sono due:
il canale Acquarotta ad ovest, lungo circa 2 Km e largo da 6 a 10 metri. La sua profondità varia da 1 a 2 metri;
il canale Schiapparo ad est, lungo circa 1 Km e largo 25 metri. La sua profondità oscilla tra i 2 ed i 4 metri.
La misurazione delle dimensioni della Laguna, sembra che sin da tempi remoti non abbia mai trovato d'accordo la totalità degli studiosi e dei ricercatori. Ad esempio, alla fine dell'ottocento, il Generale Streblitsky su incarico del Regio Ministero della Marina (1) stabiliva la sua superficie in Km2 36.4; sempre nello stesso periodo, invece, secondo le "Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Foggia" (2) la suddetta misura diventa Km2 70, misura tra l'atro confermata anche dall'Ing. Melilotti nella sua relazione sulla Laguna del 30 marzo 1874, redatta per conto del Comune di Lesina. E' di solo quattro anni prima, invece, la misura di Km2 98.42 dichiarata dal Sindaco di Lesina, Sig. Pezzuoli, al Regio Ministero dell'Agricoltura (3).
Quali di queste definisce esattamente l'estensione della Laguna ?
Nessuna. Infatti, essa è pari a Km2 51.36 (o, se volete, Km2 51.4, come segnalato in molti testi di geografia). La suddetta misura risale al 1895, e fu ottenuta dal Prof. Marinelli (4) misurando l'area dello specchio lacustre per mezzo del planimetro (5) nella carta pubblicata dall'Istituto Geografico Militare di Firenze.
Con una configurazione marcatamente oblunga, essa è lunga 24,4 Km, larga 2.4 Km ed ha un perimetro di quasi 50 Km. Essa è divisa in due bacini, nel minore dei quali si affaccia Lesina, che da, appunto, il nome alla Laguna. Quello orientale, più lungo di quello occidentale, prende il nome di Sacca Orientale.
Antichissima è la sua origine. Opinione comune è che si sia formata grazie all'accumulo di sabbie trasportate dalle correnti marine nella loro corsa da nord verso sud.
Queste infatti, incontrando il promontorio del Gargano sono obbligate ad abbandonare il litorale per superarlo, depositando così i materiali trasportati.
Non bisogna dimenticare, inoltre l'opera del fiume Fortore, l'antico Frentum di Plinio. Questo fiume, un tempo più ampio ed in parte navigabile, ha variato più volte il suo corso finale e si possono distinguere almeno quattro foci diverse. La più antica è l'attuale canale di Acquarotta dove il Fortore giungeva formando una grande ansa(6). I suoi traboccamenti e gli affluenti che discendono dal Gargano hanno certamente favorito la formazione lagunare.
Le sponde lagunari sono leggermente inclinate, ed il fondo e tutto melmoso e regolare, cosa che conferisce alla laguna una profondità media di 70 cm, con picchi massimi di 1.5 metri. Questo dato la pone tra le meno profonde come prima in assoluto.
La composizione delle sue acque, generalmente è molto simile a quella del mare. Mutamenti notevoli, però, possono essere causati dalle piogge e dall'evaporazione estiva, oltre che dall'attività dei corsi d'acqua dolce che in essa si riversano.
Questi apporti di acqua dolce sono dati principalmente dai fiumi Lauro e Zannella (a carattere perenne) le cui foci sono poste sulla riva occidentale della Sacca Orientale. Gli altri corsi più importanti, a regime torrentizio, sono: Capotosta, Canimpiso, Cammarata, La Fara, Pilla, Pontone. Vi sono, inoltre due idrovore, Lauro e Pilla, che scaricano nella laguna le acque di drenaggio dei terreni circostanti.
Grazie all'umidità caratteristica del suo ambiente, la laguna di Lesina è considerata un biotopo di particolare pregio naturalistico, adatto alla sosta ed al rifugio di numerose specie di uccelli migratori. Ne sono state contate 200, di cui 69 legate alla laguna per necessità riproduttive. Simili concentrazioni si possono trovare solo sul delta del Po o in quelli dei grandi fiumi del Nord Africa o del Sud Europa. Potrete trovare maggiori informazioni relativamente agli uccelli nel capitolo relativo alla Fauna ed alla Flora.
(1) Vinciguerra D. Atti Comm. Consult. della pesca. Anno 1896, pag. 148;
(2) Ministero di Agricoltura, industria e Commercio - Annali di Statistica, fasc. XXX -- Roma, tip. Berteto, 1891;
(3) AD. Targioni Tozzetti. La pesca in Italia. Annali del Ministero di Agricoltura. Vol. I, Parte II, pag. 154;
(4) Marinelli O. Area, profondità ed altri elementi dei laghi italiani. Società Ed. Dante Allighieri, Roma, 1895;
(5) Strumento che permette di misurare l'area di una figura piana, percorrendone il contorno con una punta;
(6) Nicola Lidio Savino. Lesina Lineamenti di Storia e Folklore. Pagg. 23-24. Tip. Reme-Graf. Foggia, 1985;
Ciò che fa del Lago di Lesina una Laguna sono i canali di comunicazione che essa ha con il mare. Attualmente, funzionanti ve ne sono due:
il canale Acquarotta, antico letto del fiume Fortore (1), i cui lavori di ristrutturazione incominciarono il 10 aprile 1901 come esecuzione di un progetto di bonifica del Comprensorio Lagunare;
il canale dello Schiapparo sulla cui dubbia origine rimandiamo i nostri lettori al capitolo "I Canali" della sezione "NATURA".
Questi canali sono posti, rispettivamente, a ponente ed a levante del tombolo, ossia della duna costiera che divide la Laguna di Lesina dal mare.
La formazione della duna, secondo varie teorie, potrebbe essere stata causata dalle sabbie trasportate dalle correnti marine che, provenienti da Nord, per continuare la loro corsa verso Sud sono obbligate ad abbandonare la spiaggia per superare il promontorio del Gargano, lasciando i materiali trasportati dove ora sono i lidi. In sostanza i detriti del Fortore, spinti dalle correnti dell'Adriatico, si sono disposti ed accumulati lungo la linea Ovest-Est chiudendo i due seni marini di Lesina e Varano.
Sin dai tempi antichissimi, restarono così dietro le nuove dune, i laghi di Lesina e di Varano.
La costituzione del terreno della duna è principalmente sabbiosa e la flora che vegeta è caratteristica del litorale adriatico. Si va, infatti, dalle querce e gli elci (Lecci) alle cerase marine ed al corbezzolo (imbriachella a Lesina), dallo zappino, ossia dal pino d'Aleppo, all'olivastro, al lauro, al lentisco (stingi a Lesina), per passare ancora al mirto, al ginepro, al rosmarino ed alle mortelle, tralasciando tutte le altre specie di minor interesse che qui possiamo trovare. Una nota particolare, però, deve essere fatta per il "Cisto di Clusio", una piccola pianta legnosa che vive solo qui.Fino a poco tempo fa, il tombolo offriva anche buoni pascoli per bovini, bufali, cavalli e capre.
Questa estensione di terreno prende, altresì, il nome di Bosco-Isola, proprio perché è quasi completamente coperta da alberi e da arbusti selvatici. Un tempo i siti boschivi erano così denominati:
il bosco ZURRONE, sulle sponde della laguna, argilloso e fertile con abbondante elce (Leccio);
il bosco CENTO PASSI, arenoso, con molte querce, ginepri, corbezzoli e rosmarino;
il bosco di LESINA;
il bosco di POGGIO IMPERIALE;
il bosco MORELLA, arenoso;
il bosco ZAPPINO, ricco di olivastri e pini d'Aleppo;
il bosco GRAVAGLIONE;
il bosco S. ANDREA;
il bosco BOCCADURA;
il bosco S. MARIA DI SALOTTO;
il bosco SCHIAPPARO;
il bosco S. PLACIDO;
il bosco TAMARICELLA;
il bosco SCORCIABOVE;
il bosco VOLTA DI MILETO.
A differenza degli altri, molto fertili e abbondanti di vegetazione ed essenze, i boschi di SCHIAPPARO, S. PLACIDO e TAMARICELLA, erano poveri di vegetazione in confronto agli altri.
Non a torto possiamo definire il Bosco-Isola come un grande laboratorio ecologico, nel quale la voglia di scoprire e, principalmente, riscoprire la natura è immediatamente trasmessa allo spettatore.
Non è un caso che il tombolo, ancora oggi, continua ad essere oggetto di studio da parte di importanti esperti di botanica.
"..In questi mille ettari di paradiso, per quattordici chilometri di arenile intatto, stretto tra le baracche di Torre Mileto a levante e la speculazione edilizia fatta di residences e palazzine multipiani della torre Fortore a ponente, il tempo pare si sia fermato. A parte qualche pista sulla sabbia e pochissime capanne, la macchia si estende densa, profumata e meravigliosa alle spalle della duna su cui le ammofile setolose e gli eringi coriacei si piegano sotto le refole del vento marino. Dalla battigia deserta alla riva solitaria della laguna regnano rosmarini e corbezzoli, eriche e lillatri, volpi e tassi, lepri e tartarughe....."
Fulco PRATESI.
Corriere della Sera, mercoledì, 13 febbraio 1980.
1) Fraccacreta. Teatro topografico storico della Capitanata. T. IV, pag. 47, Napoli, tip. Coda, 1834.
Bibliografia: P. ROSANO - D. ZACCAGNINO - D. MAJOLO. LA LAGUNA DI LESINA e Le Sue Quistioni. Volume I Parte Speciale. Napoli. Tip. Giannini. 1903.
La Laguna di Lesina, in quanto tale, sin dalla sua origine ha comunicato con il mare tramite canali o foci.
Oggigiorno solo due di questi canali sono funzionanti, e precisamente quello denominato ACQUAROTTA, e quello chiamato SCHIAPPARO.
Prima di passare ad una attenta disamina di questi due corsi d'acqua, è il caso di precisare che esistevano, in passato, altre vie di comunicazione tra la Laguna ed il mare. Esse erano:
il canale ZAPPINO, situato lungo il bosco che gli ha dato il nome. Oggi è completamente interrato;
il canale S. MARIA nel bosco di Salotto, che se non fosse per le testimonianze scritte, oggi non sapremmo nemmeno che fosse esistito, in quanto è completamente scomparso;
il canale S. PLACIDO nell'omonimo bosco. Fu chiuso nel 1811 per ordine dei Tribunali del Regno di Napoli perché nel passaggio della foce affogarono delle persone;
il canale S. ANDREA o di SCAMPAMORTE . Di esso la documentazione è a dir poco folta. Questa foce è stata attiva da tempi immemorabili fino al 1882, per poi aprirsi saltuariamente nel decennio successivo. Secondo il Satriani (1), il canale S. ANDREA era lungo 1742 mt.. Molti documenti, tra cui la perizia del LUCARELLI del 1595, la perizia del GALLARANO del 1730, la perizia del PAOLOTTI del 1816, dai verbali di pignoramento precedenti all'esproprio compiuto dal Tribunale di Lucera (2), indicano come unica vera foce della Laguna, sin da tempi remoti, quella di S. ANDREA, aperta dal 31 marzo al 31 agosto di ogni anno. Oggi, anche questa foce è completamente interrata.
Esistevano, comunque, anche altre foci minori delle quali oggi non vi è più traccia, la cui conoscenza ci è stata tramandata dal Fraccacreta nel T. IV a pag. 76, ed esse sono:
il canale di Caùto;
il canale di Marella;
il canale di Gravaglione;
il canale di S. Focato (o Focicchia).
Come dicevamo, gli unici canali oggi funzionanti sono ACQUAROTTA e SCHIAPPARO.
Il primo, altro non è che uno degli antichi letti del fiume Fortore. I lavori del nuovo canale cominciarono il 10 aprile 1901, a seguito dell'attuazione, tra l'altro parziale, del primo progetto di bonifica del Comprensorio Lagunare, a cura del Genio Civile di Foggia. Il costo di quest'operazione veniva stimato in lire 60.000. La cerimonia di inaugurazione dei lavori venne presenziata dal deputato Vollaro de Lieto, sostenitore di quest'opera.(3)
Quest'opera va inserita in un disegno molto più ampio, quale fu quello della bonifica delle paludi e dei terreni paludosi di tutto il territorio nazionale approvato il 18 giugno 1899 dal Parlamento. In questa Legge, per la bonifica del territorio di Lesina veniva prevista una spesa complessiva pari a lire 2.700.000. Di quest'importo lire 1.620.000 era la quota a carico dello Stato, lire 270.000 a carico della Provincia, lire 270.000 a carico del Comune e lire 540.000 a carico dei privati.(4)
L'origine del canale SCHIAPPARO, invece è alquanto dubbia. Non si sa se la sua apertura sia avvenuta ad opera dell'uomo o causata dall'erosione delle acque della Laguna.
Alcune tesi stabiliscono la sua entrata in funzione nel 1849 (5), altre nel 1848 (6). L'apertura ufficiale, comunque, con molte probabilità avvenne nel gennaio del 1851, come concordano vari scritti, essendoci una sentenza del giudice del circondario di Apricena che assolve gli affittuari della Laguna dall'accusa di aver aperto artificialmente il canale.
Nell'opuscolo esplicativo della sentenza del D'Apote (7) del 1873, vengono indicati come autori dell'apertura lesinesi e sannicandresi, proprietari dei fondi posti sulle rive della Laguna. Infatti i conduttori delle acque lagunari potevano avere solo un danno dall'apertura indiscriminata del canale, a meno che essa non fosse attuata solo nel mese di marzo per prendere la montata del nutrime.
Questi canali servono a scongiurare il pericolo che le acque della Laguna diventino uno stagno, oltre che fare da semaforo per l'entrata del nutrime, e per l'uscita della fauna acquatica. E' quindi compito dell'uomo fare in modo che siano sempre efficienti per assicurare la stabilità di un sistema biologico molto delicato come quello della Laguna di Lesina, eventualmente prendendo spunto dalle cause che hanno portato alla scomparsa dei canali lasciati a essi stessi.
E' annoso il problema che riguarda la gestione dei canali della laguna di Lesina, e alcuni interventi su di essi sono causa della riduzione della produttività lagunare degli ultimi quindici anni.
I mancati accordi, nel corso degli anni, finalizzati ad una gestione comune della laguna tra i pescatori lesinesi, portarono allo smantellamento dei lavorieri razionali, realizzati negli anni '30, con griglie metalliche e strutture di sostegno in cemento armato, ed alla sostituzione delle vecchie paratoie, per la gestione dei flussi idrici, a tre luci, molto funzionali, con un'unica paratoia azionata con dispositivo elettromeccanico, spesso in disuso, senza contare la mancanza di una costante gestione dei dispositivi.
E' del 1996 la presentazione, da parte del Comune di Lesina alla Provincia di Foggia, di un progetto tendente a realizzare due lavorieri sui canali di Acquarotta e Schiapparo.
Attualmente è quasi completato quello sul canale Acquarotta.
1) Regioni e voti per la sollecita apertura della foce Acquarotta. San Severo. Tip. De Girolamo. 1898, pag. 81
2) Ricorso dei proprietari alla Giunta Prov. Amm. Di Foggia contro il Comune in data 20 maggio 1898, pag. 8.
3) P. ROSANO - D. ZACCAGNINO - D. MAJOLO. LA LAGUNA DI LESINA e Le Sue Quistioni. Volume I Parte Speciale. Napoli. Tip. Giannini. 1903, pag. 140.-
4) P. ROSANO - D. ZACCAGNINO - D. MAJOLO. LA LAGUNA DI LESINA e Le Sue Quistioni. Volume I Parte Speciale. Napoli. Tip. Giannini. 1903, pag. 137.-
5) Regioni e voti per la sollecita apertura della foce Acquarotta. San Severo. Tip. De Girolamo. 1898, pag. 76
6) Decreto Ministeriale 24 marzo 1873 sull’apertura della foce Schiapparo.
7) D’Apote G. – Sull’apertura perenne della foce schiapparo. Foggia. Tip. Migliaccio, 1873.
FAUNA
Come già detto nel capitolo "LA LAGUNA DI LESINA" le acque lagunari sono molto simili a quelle del confinante mare Adriatico.
E' naturale, quindi, trovare in queste acque una fauna di carattere marino, anche se limitatamente a pesci, crostacei e molluschi che sopportano una leggera dolcificazione del proprio ambiente.
Secondo la capacità di adattarsi ad un ambiente leggermente diverso da quello marino, l'ittiofauna della laguna di Lesina si compone di specie dominanti che gradiscono esclusivamente ambienti dolcificati (zone centro-orientali e a sud) come lo spinarello e la carpa, oppure specie che preferiscono ambienti prevalentemente salini o più simili al mare (zone vicine ai canali) come triglia, soleide, sarago, occhiata. Esistono, poi, specie che si possono trovare in tutte le zone della laguna come quelle appartenenti alla famiglia dei mugilidi (principalmente cefali e liza aurata), branzini, orata e latterino. Altre specie osservabili quasi esclusivamente nel periodo della montata sono i rombi, l'aguglia,il gronco, la sardina, l'alice.
Vivono nella laguna anche rappresentanti dei crostacei, con notevole valore commerciale, come il Penaeus kerathurus (semplicemente mazzancolla), che raggiunge le misure di 12 - 14 grammi, e nel passato, grazie alle semine effettuate dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, che è presente sul posto con l'Istituto per lo Sfruttamento Biologico delle Lagune, un'altra varietà di Penaeus, il japonicus (mazzancolla asiatica introdotta in Italia nel 1979), ha mostrato buone capacità di adattamento.
Discorso a parte, invece, è quello relativo alle anguille che popolano il bacino lesinese. Ne esistono due specie, e precisamente quella maretica e quella pantanina.
Le prime (maretiche), sono quelle che sovrintendono alla propagazione della specie, disposte anche ad emigrare per tale scopo, portano nella loro struttura gli indizi della maturità sessuale. Il loro peso può giungere anche ai tre Kg.
Le anguille pantanine, invece, non mostrano nemmeno la tendenza al viaggio in mare, sono quindi le anguille sedentarie che non hanno raggiunto lo stato di maturità necessario alla propagazione della specie(1).
Relativamente alla fauna lagunare uno dei periodi più importanti dell'anno, forse il più importante, è certamente l'inizio della primavera.
In questo periodo, le acque lagunari convergono verso i canali, essendo il loro livello più alto a causa sia delle piogge sia dal riversarsi dei corsi d'acqua dolce.
Le piccole anguille (cieche), i muggini, e tutti gli altri pesci, sia allo stato di novellame, che adulti, richiamati dalla corrente di acqua dolcificata che discende al mare, entrano nei canali e, quindi nella laguna.
Questo comportamento, comune ad alcuni tipi di pesci, si verifica in tutte le coste, principalmente, però, dove ci sono bassifondi o lagune. Comunque fondali tranquilli e ricchi di nutrimento dove passare i primi mesi di vita.
In tempi passati una corrente di acqua leggermente dolcificata, come quella della laguna di Lesina, che con forza si spingeva lontano nel mare, richiamava una quantità straordinaria di novellame. Ed entrava anche una grande quantità di pesce adulto, dato che il notevole dislivello delle acque lagunari rispetto a quelle marine conferiva alla corrente una forte velocità che rendeva le vie di comunicazione profonde anche quattro o cinque metri.
Le piccole anguille che entrano nella laguna ogni anno in primavera, non smontano nell'anno stesso, e per qualche annata non tendono più al mare, passando l'inverno nei fondali lagunari (anguille pantanine).
Passato questo periodo l'anguilla cambia di aspetto, muta la livrea, che diventa di un colore e di una lucentezza speciale (anguilla maretica). Anche il suo istinto muta, perché è dopo questo periodo che, come si e detto prima, vuole discendere al mare (smontata) per la propagazione della specie.
Per tutti gli altri pesci, invece, il discorso è diverso. Infatti, essi tendono alla discesa al mare, per la riproduzione, con frequenza annuale.
E' questa la legge naturale che regola l'impesciamento della laguna di Lesina.
Tranne le aterine (lucenti) ed il Gobius (bavoso), che si moltiplicano nelle acque lagunari, tutte le altre specie provengono dal mare attraverso i canali.
Anche gli uccelli, grazie all'ambiente umido che caratterizza la laguna di Lesina, sono presenti in numerose specie in questo biotopo di particolare pregio naturalistico. Come già accennato nel capitolo relativo alla Laguna, ne sono state contate 200, di cui 69 legate alla laguna per necessità riproduttive.
Alcuni di questi uccelli, come la Sterna gambenere e quella comune, il Gabbiano roseo, il Cavaliere d'Italia, la Garzetta, la Spatola, il Falco di palude, il Fraticello, il Mignattaio, l'Avocetta, il Beccapesci, il Mignattino ed il Martin pescatore sono catalogate nella direttiva adottata dal Consiglio delle Comunità Europee dell'aprile del 1979.
Le altre specie più importanti sono: il Germano maschio o femmina (a Lesina chiamati capoverde o mallarda), il Moriglione (chiamato caporosso), la Volpòca (a Lesina fiscone), l'Alzavola (detta terzella), la Gallinella, la Gru, l'Airone. Ma quella più rappresentata è certamente la Folaga che viene suddivisa, a seconda della grandezza in: grossa o schiavona, mezzana e comune.
Per concludere il discorso sulla fauna della laguna di Lesina, è d'obbligo almeno un accenno su quella che è la colonia dello zooplancton. Tra quelli presenti nelle acque lagunari si distinguono i Copepodi (Acartia, Microsetesella, Tisbe e Calanipede), e i Cladoceri (Evadne, Podon) e alcune specie di Rotiferi (es. Colurella adriatica)
FLORA
Anche per quanto riguarda la flora lagunare, elemento di notevole importanza è la configurazione del bacino lesinese.
A causa della scarsa profondità della laguna, la stratificazione termica è pressoché nulla, cosa che facilita l'ossigenazione delle acque.
Questa caratterizzazione dell'ambiente favorisce la crescita delle cloroficee Cladophora e Enteromopha, della rodoficea Gracilaria confervoides e della potamogetonacea Zostera, che ospita sulle sue foglie l'idroide Laomeda angulata.
Numerosa è anche la colonia del fitoplancton. Nella quasi totalità della laguna, infatti, 200 sono le specie che si distinguono. Tra queste, di notevole importanza ai fini acquacolturali sono: Nitschia, Oscillatoria e Spirulina. Questo numero scende drasticamente nella parte occidentale del bacino, a causa dello scarso ricambio idrico. La zona centrale e caratterizzata da una folta presenza di Diatomee centriche e pennate, Dinoflagellati e Silicoflagellati.
(1) G.S. Bullo. Piscicultura marina. Padova tip. Prosperini 1891; ed anche G.S. Bullo. Das Paarungkleid des Aales. Mitth des deut. Seefischerei-Vescins N. 7, 1895;
Sebbene la varietà di pesci presenti nella laguna di Lesina sia indubbiamente diversificata, la produzione ittica si basa principalmente su anguille e mugilidi.
I sistemi di pesca più importanti che i pescatori lesinesi adottavano già in tempi remoti sono quelli denominati paranza ed acconcio.
LA PARANZA
Un tipo di sbarramento posto in linea perpendicolare con le rive della laguna. Una sorta di passaggio obbligato per le anguille verso i bertovelli (1) posti ad intervalli regolari lungo lo sbarramento.
Essa è costituita da 40 - 60 bertovelli, viene installata nel periodo da ottobre a febbraio e la sua estensione è tale che partendo dalle rive lacustri si spinge verso il centro della laguna.
La paranza è formata da una fila di pali, conficcati nel fango, posti in linea retta, il primo dei quali normalmente posto presso la riva.
Tra un palo e l'altro, distanti circa 20 metri, viene collocata ben distesa l'arella, formata un tempo da fascetti di canna comune tenuti insieme da tre legacci di tifa. L'arella era costruita in tal modo dai pescatori lesinesi in tre altezze (0.90 m, 1.25 m, 1.50 m). Scelta a seconda della profondità delle acque, si conficcava nel fango per circa 30 cm e restava in piedi senza bisogno di alcun sostegno, data la tranquillità delle acque.
La lunghezza delle arelle è inferiore a quella esistente tra un palo e l'altro. Questo spazio prende il nome di vado con una lunghezza di solito di 75 cm.
L'insieme di un'arella e di un vado prende il nome di fratta. Per formare una paranza ne occorrevano esattamente 25, vale a dire 495 metri.
Ormai le paranze non vengono più intese allo stesso modo di qualche anno fa. Oggi tale strumento di pesca pur conservando il nome di fratta è costituito da panni di rete sostenuti da pali.
Al principio di ogni fratta vi è un'apertura posta tra il palo della stessa ed un altro paletto laterale più esterno. Da questi due paletti si staccano altre due arelle, formanti con la linea principale un angolo acuto, dette strozzati, lunghi 5.80 metri e terminanti con un paletto.
Al paletto esterno dello strozzato vi è un'altra apertura, formata da un piccolo tratto di parete detto orecchiello, lungo 1.65 m. Ed è a quest'apertura che vengono posti i bertovelli ben distesi con due paletti, fissando la coda con un terzo in modo da lasciare la sua cima sempre esternamente alla paranza.
Ogni paranza verso terra, viene pescata con 5 casse di forma ovale, formate da arelle tenute tra loro da pali.
Una paranza di 15 fratte prende il nome di piede, lungo 297 metri, ed è formata da 40 bertovelli e 3 casse sempre di forma ovale.
Le paranze ed i piedi si staccano dal litorale e la distanza tra loro è di circa 250 metri. Sono tutte distinte con nomi speciali che corrispondono in genere al nome del bosco da dove si staccano, o dal nome di antichi canali, o delle foci esistenti, o anche al proprietario delle stesse.
L'ACCONCIO
Un altro sistema di pesca, venuto a mancare da alcuni anni, e l'acconcio. Una sorta di lavoriere rudimentale in struttura leggera, era attuato per la pesca delle orate, dei cefali, delle spigole e delle anguille.
Gli acconci erano formati da una lunga parete di arelle, costruita a zig-zag, posizionata tra un'estremità e l'altra dei canali di comunicazione con il mare. La parete era costituita da pali ficcati nel fango del bacino, distanti 1 metro, contenenti le arelle formate da grosse canne, conficcate nel fango per circa 1 metro.
Questa parete formava 15 triangoli isosceli, denominati mandroncelli, con la punta rivolta verso il mare. Il lato di questi triangoli era di circa 15 metri, e la sua punta chiusa ed arrotondata prendeva il nome di lanzara.Ogni mandroncella era suddivisa in tre scomparti, anche loro formate da pareti di arelle a grosse canne.
Lo spazio che intercorreva tra una mandroncella e l'altra era di 10 cm e serviva a lasciar passare il pesce in fase di montata (dal mare alla laguna).
All'estremità degli arginelli del canale (vedi disegno) si staccavano una paranza su un lato ed un piede sull'altro. Altri tre piccoli piedi, formati da tre fratte ciascuno, si staccavano dalla linea degli acconci.
All'imboccatura del canale, vicino ai portelloni, veniva creata l'incannizzata. Di struttura simile a quella degli acconci essa era formata da 4 triangoli isosceli.
Tali strutture venivano poste nei canali nel mese di maggio ed avevano lo scopo di impedire la fuga dei pesci verso il mare. Gli acconci permettevano la raccolta del pescato in uscita dalla laguna, lasciando comunque la possibilità di entrare al pesce proveniente dal mare. Nella stagione della montata (inverno - primavera) gli acconci venivano tolti per permettere l'entrata senza ostacoli del pesce dal mare.
PRODUZIONE ITTICA
Per quanto riguarda, invece, la produzione ittica, dai registri di pesca si evince come il livello di pescosità della laguna nel corso degli anni sia andato sempre più diminuendo.
Si registrano pescate miracolose di anguille negli anni precedenti il 1873, con oltre 1 600 q.. Dopo quell'anno la produzione ha raggiunto in qualche annata i 400 q..
Per il pesce bianco le produzioni superavano spesso i 1 000 q., successivamente scese a 400 q. con un calo produttivo attribuito al malgoverno della foce Schiapparo. Nel periodo 1935 - 1960 le produzioni migliori arrivavano a circa 7 000 q. (circa 135 kg/ha); dopo il 1961 il massimo della produzione superava di poco i 2 600 q. (50 kg/ha). Dal 1962 al 1984 sono passate da 65.7 a 39.2 (kg/ha).(2)
Notevole influenza ha avuto sui riflessi economici questa continua regressione della produzione ittica, settore trainante, fino a qualche anno fa dell'economia lesinese.
(1) Il bertovello (a Lesina martovillo) è una rete cilindrica, un tempo lavorata con spago sottile detto fioresa, lunga nel suo complesso 2.50 metri. All'imbocco ha un'apertura di metri 0.60 X 0.60, ed è tenuto sempre aperto da sei cerchielli, un tempo di vimini. Internamente c'è la feminella, un congegno di rete speciale che divide in tre scomparti il bertovello. La maglia dell'imboccatura è di due centimetri, quella del sacco di un centimetro.
(2) Per la redazione di questa sezione del CD "Lesina Multimediale" di notevole aiuto è stata la relazione svolta dall'Istituto Cooperativo per la Ricerca sul Mare svolta nell'ambito del Progetto di Sviluppo di iniziative consortili per la gestione della fascia costiera-
Il Parco Nazionale del Gargano, esempio concreto di un luogo dalle bellezze mozzafiato, dove l'opera dell'Uomo si è saputa ben inserire nel contesto naturalistico.
Quasi sottovoce si sono innalzati templi religiosi e fortificazioni che non abbruttiscono questa serie di ambienti più unici che rari. Anche le fabbricazioni di utilizzo quotidiano, quali masserie, pagliai, trabucchi in legno e non ultimi i centri storici sembrano incastonati in un meraviglioso gioiello.
Sempre forte è stata la volontà di creare intorno al centro vitale dell'attuale Parco, la Foresta Umbra ("ombrosa"), un cordone che limitasse le incursioni della moderna civiltà.
Per questo motivo con il Decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995, pubblicato sul supplemento della Gazzetta Ufficiale n° 181 del 4 agosto 1995 fu istituito il Parco Nazionale del Gargano.
Con un’estensione di 124.219 ettari esso racchiude svariate tipologie di territori.
Dalle spiagge di Lesina alle zone umide a sud di Manfredonia, dai 1065 metri del Monte Calvo agli zero meri del litorale.
Numerosi sono i Comuni i cui territori sono racchiusi all'interno del Parco. Contribuiscono a tale estensione:
Monte Sant'Angelo | 18.760 Ha |
San Marco in Lamis | 13.989 Ha |
Vieste | 13.559 Ha |
San Giovanni Rotondo | 12.710 Ha |
Cagnano Varano | 12.570 Ha |
Manfredonia | 8.901 Ha |
Vico del Gargano | 8.356 Ha |
Sannicandro Garganico | 7.011 Ha |
Mattinata | 6.963 Ha |
Carpino | 5.061 Ha |
Lesina | 4.794 Ha |
Ischitella | 4.304 Ha |
Peschici | 3.939 Ha |
Serracapriola | 1.414 Ha |
Rignano Garganico | 759 Ha |
Rodi Garganico | 723 Ha |
Isole Tremiti | 306 Ha |
Poggio Imperiale | 100 Ha |
Al suo interno sono racchiuse, inoltre, otto Riserve Naturali gestite dal Corpo Forestale dello Stato, oltre ad altrettante Oasi di Protezione Faunistiche istituite e sotto la tutela della Regione Puglia.
Lesina contribuisce alla demarcazione del perimetro del Parco con la Riserva Naturale di Popolamento Animale, istituita nella Sacca Orientale con Decreto Ministeriale del 27 aprile 1981, e con l’Oasi Foce del Fortore istituita con decreto del Presidente della Giunta Regionale n° 5003 del 27 novembre 1975.
Sia la Riserva Naturale sia l’Oasi di Protezione sono riunite sotto la giurisdizione provinciale.
Le altre Riserve Naturali sono:
1 - Bosco d’Ischitella;
2 - Falascone;
3 - Foresta Umbra;
4 - Isola di Varano;
5 - Monte Barone;
6 - Palude di Frattarolo;
7 - Stilzi.
All’interno del Parco Nazionale del Gargano, inoltre, esattamente a Punta Pietre Nere, sul litorale lesinese, sono posizionate le più antiche rocce di tutta la Puglia.
Un insieme di rocce, consumate dall’erosione del mare, ma ancor più dalla mano dell'Uomo, di origine vulcanica risalente al Triassico, vale a dire tra i 200 e 245 milioni di anni fa.
A cura di Francesco Giornetta - Anno 2000
E’ altresì rilevante l’episodio storico del Vescovo di Lucera che, nel secolo VII, si rifugiava a Lesina con tutto il seguito sotto la sferza dell’occupazione dell’Imperatore bizantino Costante II.
Lesina era vista come un’oasi in cui poter proseguire degnamente il mandato pastorale che Santa Romana Chiesa affidava all’apostolato ed alla sua gerarchia.
Volendo però approfondire le radici ed il culto romano-latino, bisogna dire che gran parte di esso è stato supportato dalle culture monarchiche (sec. VIII – XIII), benedettina prima e soprattutto cistercense dopo, diffuso nel comprensorio dal sito storico di Ripalta (vedi Vol. III - Nicola Lidio Savino - Lesina).
Molto ci sarebbe da dire circa la floridezza storica in relazione al mandato pastorale dei Vescovi di Lesina, da Calumniosus (648) a Nicolaus, Canonicus Beneventanus (1254) ed infine al suo ultimo Vescovo Orazio Greco, Clericus Troiae (1563).
Anche la famosa donazione di tutto il Feudo di Lesina attuata da Margherita, vedova di Carlo III di Durazzo al Banco A.G.P. di Napoli è dovuta senza dubbio alla religiosità insita nel reame, anche se tutto poteva assumere i contorni di una offerta votiva.
La vita sociale e religiosa proiettata nella osservanza della morale cattolica, ed in minor parte protestante, a Lesina viene articolata nella comune assiduità alla frequenza liturgico-dottrinale. Lesina vi si identifica con le ricorrenze che si riflettono nella partecipazione alle funzioni religiose.
Questa costruzione, più piccola della Chiesa SS. Annunziata, e’ più recente, sebbene si possa congetturare qualche rifacimento. Essa deve essere intesa come l’antica chiesa della Confraternita del Santo Rosario. (Vedi studio della P.ssa Medievista Mimma Pasculli dell’Università di Bari – Epistolario: Nicola Lidio Savino).
Il Gallarano nel 1730, incaricato dai creditori del Banco dell’Ave Grazia Plena, di effettuare una perizia tecnico-ambientale su Lesina, descrive la chiesa di San Primiano come una "non piccola chiesa che teneva la facciata verso oriente in uno spiazzato che principalmente si prendeva dalla larga via che proveniva dalla parte maggiore della città". Tale chiesa era arcipretale, di struttura d’atrio con torre campanaria, navata, testa, cappella, sagrestia, e più stanze superiori di abitazioni dell’arciprete. Essa deteneva anche lo «…speciosissimo e benedetto titolo di "A.G.P." (Ave Gratia Plena)». Un tempo era corredata da un bel complesso interno ligneo che faceva risalire alle semplici campane che sovrastano la piazzetta ancora oggi ben custodita.
Questa imponente costruzione, una tra le più slanciate e di stile greco-romano, risente di ripetute ricostruzioni dovute al tempo ed alle devastanti conseguenze telluriche e bradisismiche.
Si ritiene che la prima costruzione sia avvenuta nel tempo della nascente venerazione-devozione per i SS. Martiri. La stessa costruzione non fu proprio rivolta a questi Santi, bensì alla SS. Annunziata per ancestrale legame storico-religioso con l’Annunziata di Napoli.
La devozione per i SS. Martiri funse da riflesso religioso, ma per essi fu costruita una delle tante chiese di cui si parla del passato di Lesina. A questo proposito è da ricordare la descrizione del Gallarano a proposito della storica contesa proprietà, tra Lesina ed il Principe Imperiale, per capire che di chiese dedicate ve n’erano più di una.
L'attuale chiesa Cattedrale di Lesina, costruita tra gli anni 1828 - 1837, sorge sul basamento della precedente, costruita a sua volta, nella seconda metà del '600 nei pressi della chiesa andata distrutta durante il terremoto del 1630.
Essa consta di un pronao (colonnato esterno), snello con colonne ed archi romanici. Il tetto e la volta, crollati nel 1922, videro concludersi la loro ricostruzione nei primi anni '50.
L'interno è ad unica navata con due cappelle laterali, sormontate da dipinti raffiguranti la Santa Croce e l'Eucarestia, la balaustra centrale che separa la navata dalla zona arale-liturgica con fonte battesimale è sormontata da un dipinto raffigurante l'Assunzione di Maria al Cielo. Il tutto caratterizzato da una serie di affreschi, che come i dipinti delle cappelle laterali e della balaustra centrale, sono opera del Maestro Bocchetti Gaetano di Piedimonte D'Alife nel napoletano.
Gli affreschi, in sostanza, rappresentano la vita di Gesù. Vanno dalla Natività alla Fuga in Egitto su un lato, all'Incontro di Gesù coi Dottori della Legge e Gesù con Maria e San Giuseppe Falegname sull'altro lato. Il ciclo viene concluso con l'Ultima Cena, posizionata esattamente sopra l'ingresso della Cattedrale.
Anche San Primiano e San Rocco, compatrono di Lesina, trovano posto nelle rappresentazioni artistiche della Cattedrale, esattamente a sinistra ed a destra dell'arco che separa l'abside dalla navata.
Nel secolo III d.c. nella città di Larino, capitale della Frentania, vissero i fratelli Primiano, Firmiano e Casto. Sotto Diocleziano furono, perché Cristiani, condannati ad essere divorati dalle belve feroci nell’Arena dell’anfiteatro, ma le fiere si rifiutarono e vennero trasportati dinanzi al tempio di Marte dove colsero, come si dice, la palma del martirio.
Non la storia, ma la tradizione popolare ci dice che Primiano subì il martirio il 15 di maggio, Firmiano e Casto il giorno seguente dell’anno 303 d.c. .
Devastata la grande città di Larino per mano dei saraceni nell’anno 842, i lesinesi, approfittando dell’assenza dei larinesi, dispersi nelle campagne, sottrassero i corpi di Primiano e Firmiano, non trovando quello di Casto.
Da quel periodo, con la forzata traslazione a Lesina dei Santi Corpi, nacque nel cuore dei lesinesi la devozione per San Primiano. Egli fu proclamato Patrono di Lesina, anche se nel secolo XVI il suo corpo fu ulteriormente traslato a Napoli, nella chiesa della SS. Annunziata
La festa-ricorrenza patronale, celebrata il 14-15 e 16 di maggio fa rivivere ai lesinesi l’antica venerazione per questo grande esempio di pietà cristiana tanto che, per una bolla di Re Ferdinando d’Aragona, ogni anno si tiene sul lago una sacra regata per una richiesta benedizione attesa dal Santo Simulacro.
Il giorno 27 aprile 2000, grazie alla donazione fatta da Padre Sebastiano Di Vincenzo, Parroco della SS. Annunziata di Napoli a Don Matteo De Meo Parroco della Parrocchia SS. Annunziata di Lesina, le reliquie dei SS. Martiri Primiano e Firmiano, dopo 402 anni sono ritornate a Lesina.
L'isolotto di San Clemente da sempre ha esaltato l'immaginazione dei lesinesi. Su questo angolo di Lesina che affiora dalle acque credenze e storia si intrecciano.
Di certo si sa che esso ospitava una primitiva chiesa dedicata al Santo Martire costruita sui resti di un'antica costruzione pagana. A causa delle invasioni dei Saraceni, questo luogo di culto fu distrutto.
Nel 1165, grazie all'azione intrapresa da Leonante, Abate di San Clemente da Casauria, proprietario dell'isolotto di San Clemente (vedi sezione "IL MEDIOEVO LESINESE") e soprattutto grazie al fatto che Lesina era situata sul tragitto che i pellegrini dovevano fare per raggiungere il Monastero di San Michele sul Gargano, la chiesa fu ricostruita.
Questa volta non si trattava più di una primitiva chiesa, ma di un vero e proprio convento con celle per i monaci che stabilmente risiedevano sul posto.
Purtroppo, però, come già accennato nella sezione "LESINA NEL PERIODO DELL'ANTICA ROMA", i numerosi fenomeni sismici, nonché il forte bradisismo, lento ma inesorabile, subito da Lesina, hanno fatto si che anche il convento di San Clemente oggi non sia rilevabile se non dalle fondamenta ancora visibili nel lago.
Sarebbe auspicabile che coloro che hanno la possibilità, ed il dovere, di rendere a Lesina ciò che appartiene alla sua Storia, impegnino tutte le loro risorse, nonché i mezzi disponibili, per il raggiungimento di tale scopo.
Spesso immaginiamo che quella Croce di ferro, unico segno visibile dalle sponde lacustri dell'esistenza di avvenimenti che vanno ben oltre la natura puramente geologica del lago, si spogli delle sue leggende per indossare l'abito di pura e semplice Storia, in modo che tutti possano conoscere le verità dell'ambiente che li circonda.
Nel 648 d.C. l'Imperatore bizantino Costante II emise il Typos, un'ordinanza che imponeva il suo punto di vista sulla volontà di Cristo.
Durante il Concilio Laterano del 649 d.C., il Papa Martino I condannò apertamente tale ordinanza.
Il pontefice fu arrestato, tradotto a Costantinopoli e poi esiliato in Crimea dove morì. Cominciò così, da parte dell'Imperatore, la persecuzione contro coloro che non accettarono la sua volontà.
Fra questi anche il Vescovo di Lucera, il quale scappò verso Lesina, insieme a buona parte dei suoi concittadini, a causa della devastazione della propria città da parte di Costante II, nel 663 d.c.(1).
Non si sa con certezza se la destinazione fu scelta per motivi strategici o dal fatto che, forse, Lesina era anch'essa sede Vescovile.
Viene citato, infatti, un Vescovo di Lesina durante il Concilio Laterano del 648 d.C.. Da quanto si evince il mandato vescovile di Lesina è indubbiamente antico e per questo ricco di particolari e, purtroppo, di imprecisioni.
Infatti, secondo alcuni storici, la sede vescovile a Lesina fu istituita nel 1254 da Papa Innocenzo IV, e che l'ultimo suo presule fu Orazio Greco, il quale partecipò al Concilio di Trento sotto il pontificato di Pio IV. Sempre secondo gli storici, in particolar modo l'Ughelli, il vescovado di Lesina, durò in tutto due secoli, ossia dal 1254 al 1459, anno in cui la sede vescovile fu unificata all'Arcivescovado di Benevento ad opera di Pio II.
Da un'attenta lettura di quanto esposto, è indubbio che ci siano delle date e dei fatti che assolutamente non coincidono con quanto viene asserito dagli storici.
Relativamente a quella che è la cronologia dei Vescovi succedutisi a Lesina, è lampante che il periodo che la interessa come sede vescovile è sicuramente superiore ai due secoli.
Infatti, se consideriamo istituita la sede nel 1254, e poi consideriamo che:
il Vescovo Guglielmo abdicò nel 1522 (268 anni dopo l'istituzione);
il Vescovo Orazio Greco partecipò al Concilio di Trento (1545 - 1563), quindi 309 anni dopo l'istituzione;
lo stesso Ughelli, poi confermato dallo scritto di San Pardo prodotto ed illustrato dall'Abate Pietro Polidoro, racconta la storia dell'esodo del Vescovo di Lucera e dei suoi fedeli verso Lesina nel 663 d.C.;
nel Concilio Laterano del 648 viene nominato il Vescovo Calumnious, come unico rappresentante, insieme al Vescovo di Siponto, della Puglia e della Calabria;
c'è da arguire che la sede vescovile di Lesina non solo è durata per più di due secoli, ma che è anche, addirittura, antecedente alla distruzione, per mano dell'Imperatore bizantino Costante II, della città di Lucera nel 663 d.C.
A sostegno di quanto detto, c'è poi da considerare che il vescovado di San Severo, della cui diocesi oggi Lesina fa parte, ha festeggiato nel 1980 il suo IV centenario, quindi istituito nel 1580.
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